Settantacinque anni dalla nascita 
                  di suor Maria Immacolata Daloiso 
                Si è offerta con Gesù, vittima e sacerdote 
                 
                  Se è vero, come afferma 
                  il grande filosofo 
                  Soren Kierkegaard, 
                  che l'annuncio cristiano 
                  non è comunicazione di 
                  idee ma piuttosto comunicazione 
                  di esistenza, 
                  suor Maria Immacolata 
                  Daloiso, con la testimonianza 
                  di vita, ne è una 
                  prova credibile. 
                  Suor Immacolata, 
                  al secolo Benedetta 
                  Daloiso, nacque a 
                  Barletta il 6 agosto 1933 
                  e l'8 agosto fu battezzata 
                  nella parrocchia di San 
                  Giacomo Maggiore. Educata cristianamente in famiglia 
                  nel solco dell'Azione Cattolica - all'interno 
                  della quale assunse la responsabilità di Delegata 
                  delle Piccolissime e in seguito delle Beniamine - cominciò 
                  a sentire precocemente la chiamata a seguire 
                  più strettamente il Signore. Fu decisivo l'incontro 
                  con il servo di Dio don Ruggero Caputo, viceparroco 
                  della sua chiesa parrocchiale di San Giacomo 
                  Maggiore e apostolo dell'Eucaristia e delle vocazioni. 
                  Sotto la lungimirante guida di questo santo 
                  sacerdote - che nel suo intenso apostolato vocazionale 
                  ha indirizzato circa 200 vocazioni alla vita religiosa, 
                  sacerdotale e di consacrazione verginale nel 
                  mondo - Benedetta nel 1954 fu pronta per partire tra 
                  le Benedettine Cistercensi di Nepi, nel Viterbese. 
                  San Benedetto, padre del monachesimo occidentale, 
                  a riguardo dell'accettazione in monastero 
                  di nuove leve, nella sua Regola esorta l'abate a discernere 
                  attentamente se questi “cercano davvero 
                  il Signore”. Nella lettera di presentazione che don 
                  Caputo indirizzò alla Madre Abbadessa, notiamo 
                  alcune sottolineature che sembrano quasi una profezia 
                  circa il futuro orientamento di vita della giovane 
                  postulante: “Lei - scrive all'Abbadessa - avrà cura 
                  di portare a Gesù questa cara anima che la seguirà 
                  per la verginità e per il martirio. Assistetela maternamente 
                  specie i primi giorni. Vedrete che farà 
                  bene”. Infatti, Benedetta trascorrerà con docilità il 
                  più della vita terrena nel “servizio divino” all'interno 
                  delle mura del suo amato Claustro, vivendo la 
                  sua consacrazione verginale “cercando il Signore 
                  con tutto il cuore” e facendo della sua vita un dono 
                  per i fratelli che si trasformerà in offerta costante, 
                  fino al martirio. 
                  Quest'ultimo risvolto della sua vocazione si accentuerà 
                  nella primavera del 1964 quando si offrì 
                  vittima al Signore per la santificazione dell'umanità 
                  e dei sacerdoti. Fu particolarmente per questi 
                  ultimi che consumò la sua vita e l'occasione le fu 
                  data quando, in prima persona, constatò la fragilità 
                  di alcuni di essi e le conseguenze devastanti che 
                  tali cattivi esempi potevano riflettersi sui fedeli. Da 
                  allora suor Immacolata cominciò a salire il calvario 
                  immolandosi con Gesù, vittima e sacerdote, “pro 
                  mundi vita” (Gv 6,51). 
                  Una lenta malattia causata da forte asma bronchiale 
                  e, in seguito dal cancro al seno, l'accompagnò 
                  per tutto il resto degli anni. Quando le sofferenze 
                  si facevano più lancinanti osava dire: “Gesù, 
                  colpisci più forte! Per ogni fitta salva un sacerdote. 
                  Non lasciartene sfuggire neppure uno!”. 
                  La sua vivacità e allegria non faceva trapelare 
                  niente all'esterno, anche perché aveva chiesto: “Fammi soffrire di notte quanto vuoi, ma di giorno 
fa che possa mantenere i miei impegni!”. Le notti 
insonni - non potendo restare a letto per l'intenso dolore 
che portava nel suo corpo - spesso erano vissute 
ai piedi di Gesù Eucaristia, suo 
unico sostegno, mentre al mattino 
le consorelle raccoglievano il suo 
costante sorriso e la sua piena disponibilità 
in tutto.  
Confidava all'Abbadessa, madre 
M. Metilde Contessa, unica 
depositaria del suo segreto: “voglio 
soffrire sola con Dio, voglio 
consumarmi come una candela… 
Offro tutto per i sacerdoti e per
i peccatori. Mi sento di essere
madre di tutti i sacerdoti. Li
tengo tutti presenti”. Ma chi era
il movente di tale generosità? 
Confiderà: “per me Gesù è tutto. 
Ne sono innamorata pazza; lo
sento sempre vicino. Più soffro e
sto sola più ne godo. Gli parlo,
gli dico tante cose e quando i dolori
sono più forti sembra che mi
dica: "Vieni, vieni!". Allora vado
in coro, prego e lo sento vicino
a me”. Con il progredire della
malattia il grande rammarico fu
quello di non poter essere utile
alla Comunità, tuttavia si rincuorava
dicendo: “il Signore mi ha
fatto comprendere che ormai non
vuole da me alcun lavoro, il mio
lavoro è il soffrire”. 
I medici che la visitavano restavano
edificati perché, per lo
stato avanzato del male avrebbe
dovuto spasimare, invece era lei
per prima a dare coraggio al personale
sanitario e alle consorelle
che l'assistevano. Anzi, durante le
medicazioni suor Immacolata aveva
la forza di scherzarci sopra. 
Chiese alle consorelle che il
suo funerale fosse vissuto in un
clima di festa perché si trattava
delle nozze finali col suo Amato
Sposo: “Non voglio la Messa da
morto, ma la Messa di Alleluia,
cantata a suon di chitarra”. 
Il 19 maggio 1985, solennità
dell'Ascensione di Gesù al cielo,
suor Maria Immacolata andò incontro
al Signore, dopo circa 60
giorni di agonia. Durante la santa
Messa esequiale non a caso la sua
bara fu circondata da 15 sacerdoti,
da coloro che erano stati l'oggetto
principale della sua offerta
e del suo martirio. 
Il suono delle chitarre dei giovani
e i canti gioiosi che i tantissimi
fedeli innalzarono, crearono
un clima di armonia celeste. “Mi
sembra di andare ad una grande
festa”, pronunciò prima di morire. 
E così fu. Aveva raggiunto il
suo traguardo: “Non c'è amore
più grande di questo: dare la vita
per i propri amici!” (Gv 15,13). 
Nell'anno 2000 le cistercensi
del Monastero romano di Santa
Susanna hanno accolto tra le
loro mura le ultime consorelle
nepesine di suor M. Immacolata
Daloiso e l'intera federazione
delle monache cistercensi d'Italia
si è fatta carico dell'eredità spirituale
e del “segreto” della riuscita
vocazionale di questa umile,
grande figlia del Santo di Norcia
che, con la sua testimonianza di
vita, rende ancora attuale l'esortazione
benedettina “ut in omnibus
glorificetur Deus”. 
                don Sabino Lattanzio. 
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