Intervento di Sua Ecc.za 
                  Mons. Giovan Battista Pichierri 
                    nella sessione di chiusura dell’Inchiesta  diocesana 
                Carissimi ministri ordinati, vita consacrata, fedeli laici  cristiani, nel contesto solenne della celebrazione dei Vespri della festa  liturgica dell’apostolo Giacomo il maggiore, siamo radunati per celebrare  l’ultima Sessione dell’Inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di  santità del servo di Dio don Ruggero Caputo, in questa storica basilica di  Santa Maria Maggiore di Barletta che, settant’anni or sono, proprio in questo  giorno, fu spettatrice dell’ordinazione presbiterale dello stesso Servo di Dio.  Tale Inchiesta è stata aperta appena un anno fa, il 1° maggio 2006. 
                  In questo breve lasso di tempo sono stati raccolti con  scrupolosità tutti i documenti e soprattutto sono stati escussi 85 testimoni, i  quali, grazie alle loro deposizioni, ci hanno fatto conoscere con maggiore  vivezza e in tutte le loro sfaccettature luminose e nascoste, le virtù e le opere di don  Caputo. 
                  La sua santità scaturisce dalla consapevolezza che “Dio è amore” (1Gv 4,8) e  che Dio riversa Se stesso negli uomini attraverso il Suo figlio Gesù, perché essi, a loro volta,  accorgendosi di essere amati, possano contraccambiarlo amandolo. Uno dei segni  più espliciti con cui il Figlio di Dio manifesta l’amore Trinitario agli uomini è la santissima Eucaristia, il sacramentum Caritatis, grazie al  quale noi ci nutriamo, mangiando il corpo e il sangue di Gesù, pane vivo disceso dal cielo. 
                  Fin dall’infanzia don Ruggero Caputo ricevette dal Signore  l’intelligenza di comprendere il sommo dono racchiuso in questo “Misterium magnum”, tanto che definiva la sua “una vocazione eucaristica”. 
                  Anche per tutto il resto della sua vita Gesù, presente  nell’Eucaristia, fu il suo faro luminoso per ritrovare la rotta sicura nel buio delle vicende burrascose  in cui veniva a trovarsi, talvolta rischiando  di perdersi.  
                Gesù  eucaristia! Bastava ricordargli questa presenza che le corde del suo cuore  vibravano di amore incontenibile. 
                Quanti  qui presenti ricordano ancora la celebrazione della sua Messa! 
                Quanti  hanno ancora dinanzi agli occhi l’atteggiamento estatico che assumeva dinanzi  al Tabernacolo e nell’impartire la Benedizione Eucaristica!  Don Ruggero professò fino all’ultimo la sua fede e il suo amore incrollabile  verso il Santissimo Sacramento dell’Altare: “Tu  piccolo Prete hai  sposato in modo particolare  il SS. Sacramento, la vita di Gesù  Sacramentato che è vita di  preghiera, di adorazione, di  contemplazione, di riparazione.  
                La  tua vocazione è nata nell’adorazione, è germogliata nel calore dolce e intimo  del SS. Sacramento. 
                È  una grazia molto alta, è ‘la parte migliore’, è l’ufficio della Madonna, di san  Giuseppe, degli Angeli” (dai suoi appunti  spirituali del 28-29 febbraio 1976). 
                Anche  le ultime parole consegnateci pochi giorni prima che lasciasse questa terra per  il cielo furono tutte di amore  eucaristico: “Gesù sin dalle viscere di mia madre mi  ha scelto e ha voluto che la mia eredità fosse la Sua Presenza Reale  nel SS. Sacramento. Questo lo dice l’episodio della mia infanzia: una  mezzanotte a dormire presso  la Santa Custodia.  Di più l’attrattiva che ho sentito di stare in ginocchio presso il SS.  Sacramento e  sin dai primi anni del mio Sacerdozio di più ancora Gesù mi ha sposato nel SS.  Sa cramento e io ho sposato Gesù nel SS. Sacramento. Il SS. Sacramento è la mia  eredità, la mia sorte, la mia fortuna, la mia ricchezza, tutta  la vita mia. Oggi nella grazia della Pentecoste, sotto i raggi dei sette doni  dello Spirito Santo, Gesù ha voluto rinnovare questo suo sposalizio con me. E  lo abbiamo rinnovato. 
                Non  c’era momento e Tabernacolo migliore del mio letto di sofferenze…” (25  maggio 1980). 
                Don  Caputo, alla pari dell’apostolo Giacomo, fu testimone e inviato di Cristo. Il “figlio  di Zebedeo” fu pescatore, 
                ma  Gesù lo chiamò a un’altra pesca ed egli con prontezza rispose divenendo da quel  momento in poi “pescatore di  uomini” (cfr Mc 1,17). Don Ruggero fu contadino,  ma a un certo momento della sua vita, negli anni della prima giovinezza, quando  ogni uomo decide il proprio futuro e segue i propri ideali di vita, sentì  fortemente la chiamata del Maestro che lo invitava a “lavorare nella sua vigna”. E lui, dopo  aver tanto pensato ed essersi consultato con la sua mamma e con il suo  direttore di spirito, il Servo di Dio don Raffaele Dimiccoli, decise di “lasciare la zappa e prendere carta e  penna per seguire il Signore”. 
                Come  seguirlo, dove andare, cosa fare? Gesù taglia corto dicendo a chi vuol  seguirlo: “Vieni e vedrai” (cfr  Gv 1,38-39).  Solo conoscendo Gesù direttamente, facendo esperienza viva di Lui vivo lo si  può amare e, di conseguenza, seguire senza remore. Per poter essere inviati dal  Signore occorre, infatti, stabilire con Lui un rapporto personale. 
                Su  questo aspetto l’evangelista Marco è molto puntuale e, parlando della chiamata degli  Apostoli da parte di Gesù, dice: “Ne costituì  dodici che stessero  con lui”; e, poi, continua: “e  anche per mandarli a predicare” (Mc  3, 14-15). 
                La  preghiera era il forte del Servo di Dio don Caputo. 
                Egli  amava andare con il passo ponderato per non camminare inutilmente e a vuoto. 
                Prima  dell’azione in lui c’era l’orazione e la riflessione, per questo la sua fu una  vita riuscita e realizzata. “Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!”, disse  l’apostolo Pietro a Gesù che lo aveva appena scosso dalle sue perplessità umane.  Queste stesse parole tante volte le ripetè anche don Ruggero, soprattutto nei  momenti di “notte oscura” che  non mancaronomai nel corso  della sua vita. 
                Anche  in questo egli fu accomunato alla sorte dell’apostolo Giacomo che bevve al calice  amaro della Passione. 
                La  mistica non è un teorema, né una formula standard di approccio al divino, ma è  la continua verità del Verbo in carnato, dell’incontro e dell’assenza tra il  divino e l’umano, del bacio e della notte, della purificazione dolorosa e  della nuova nascita. Don Ruggero, in occasione del Natale 1970, scrivendo alla sua  giovane novizia, suor 
                Rosaria  Balestrucci, esprimeva molto bene questo concetto: 
                “Tu  ora sei nella primavera della tua vocazione e corri come un capriolo leggero,  veloce; poi verrà l’estate. Il sole Divino, penso, ti brucerà e ti farà più matura  e pensosa e anche più aperta agl’interessi dell’Infinita 
                Misericordia.  Ma stai attenta, mia piccola gazzella, verrà anche l’autunno e forse anche  l’inverno e allora Gesù ti lascerà sola sotto il freddo e la pioggia e  l’imperversare della tempesta; e tu, tutta intirizzita e bagnata, ti 
                domanderai  e domanderai come la sacra sposa: ‘Numquid vidistis, quem diligit anima mea?’.  […] (vedi: Cantica 3,3/1,7). La risposta nessuna creatura te la potrà dare, ti potranno più  o meno aiutare in qualche modo, ma la risposta la troverai rifugiandoti ai  piedi del Tabernacolo e la troverai nello spogliamento di tutto, devi espropriarti  di tutti, sei nulla e devi metterti nel nulla di tutto e allora il sole  Eucaristico ti riscalderà ecc. È un linguaggio difficile questo, io stesso che  te lo scrivo non ne capisco nulla. Non solo difficile, ma terribile. Comunque tu  ora, mia cara figliuola, sei lontana da queste stagioni rigide. Però un po’ di  queste stagioni invernali mi pare che già ne hai provate ed è giusto che dopo  l’inverno tu goda questa dolce primavera della tua vita religiosa. Tu hai  scritto: ‘Scio cui credidi’ ed è questo amabile ‘scio’ che ci fa da guida nelle  inevitabili 
                prove  e vicende della vita”. 
                Don  Ruggero Caputo non fece mai programmi, mai progettò il futuro perché come Maria  Santissima, sua dolcissima Madre, aveva consegnato a Dio tutto se stesso: “Eccomi,  fa di me ciò che hai predisposto” (cfr  Lc 1,38). Pur sentendosi “servo inutile”,  visse sempre nella consapevolezza di essere al servizio del Padrone che non  chiama i suoi sudditi “servi ma amici” (Gv 15,15). A chi gli metteva dinanzi l’abbondanza di vocazioni alla vita  religiosa e sacerdotale da lui suscitate, egli rispondeva con grande confusione  e meraviglia: “È stata tutta opera di Dio che sceglie le cose più piccole e insignificanti per manifestare la   Sua grandezza!”. 
                Egli  nei suoi quarantatrè anni di sacerdozio non si preoccupò solo di suscitare vocazioni  di speciale consacrazione, ma fu anche padre di una moltitudine di fedeli laici  che con la loro verace testimonianza di vita cristiana divennero fermento nella  società. 
                Supportato  dal testo sacro dell’Apocalisse, che dichiara la santità non come qualcosa  riguardante pochi eroici personaggi dalla vita straordinaria, non riservata ad  una cerchia ristretta di persone, don Caputo era fermamente convinto che la  chiamata alla santità è rivolta a una moltitudine immensa, e quindi, un impegno  per tutti i credenti. Per questo ebbe il coraggio di proporla a tutti: “perché  Cristo ci ama e ci  vuole tali”. Così recita il Catechismo della Chiesa Cattolica  al numero 2014: “Il progresso  spirituale tende all’unione sempre  più intima con Cristo.  Questa unione si chiama ‘mistica’,  perché partecipa al mistero di  Cristo… e in Lui, al mistero della  Santissima Trinità. Dio ci  chiama tutti a questa intima unione  con lui, anche se soltanto ad  alcuni sono concesse grazie speciali  o segni straordinari di questa vita mistica, allo scopo di rendere manifesto il  dono gratuito fatto a tutti”. Questa  reinterpretazionedella fede  cristiana,come chiamata  universale allavita mistica, è  la stessa mistica del  quotidiano inculcata da don Ruggero Caputo nel profondo dell’essere di coloro  che diresse sulla via della perfezione evangelica. 
                Il  Servo di Dio, dunque, fu un amministratore fedele e saggio. Posto a capo della  sua famiglia (cfr Lc 12,42) la nutrì e custodì con grande generosità e  instancabile carità pastorale fino alla fine. 
                Negli  ultimi tempi, sentendo venir meno le forze, avvertiva che, dopo aver combattuto  la buona battaglia e conservato la fede, stava giungendo anche per lui il tempo  di sciogliere le vele (cfr 2 Tm 4,7) e che stava terminando la sua corsa. Morì  il 15 giugno 1980, pianto da tutti coloro che avevano attinto all’abbondanza  del suo cuore sacerdotale. Ma quel pianto subito si trasformò in gioia, illuminato  dalla certezza che egli era andato a ricevere dal Signore la corona di  giustizia (cfr 2 Tm 4,8). 
                Sorelle  e fratelli carissimi, questi sono i santi! Sappiamo riconoscerli e soprattutto  sappiamo imitarli e, anche per noi,  il passo dalla terra al cielo sarà breve. 
                Mentre  oggi chiudiamo questa fase importante della Causa di Beatificazione e Canonizzazione  del servo di Dio  don Ruggero Caputo, chiediamo al Padre, datore di ogni bene e fonte  inesauribile di santità che ci dia un po’ dello  spirito di questo impareggiabile presbitero, uno dei più bei frutti della  nostra Chiesa diocesana, affinché anche  noi aneliamo a questo grande traguardo indicatoci dallo stesso Padre Celeste: “Siate  santi, perché io, il Signore, Dio  vostro, sono santo” (Lv 19,2). “Amen.  Maranatha. La grazia del  Signore Gesù sia con tutti voi.  Amen!” (Ap 22,20).  |