Mons. Dimiccoli
povero in terra
cinquant’anni fa entrava ricco nel Regno dei Cieli
“Fino a ieri, nella S. Messa, ogni mattina,
pregavo per la guarigione di don Raffaele: da questa mattina,
ho cominciato a pregare per il suo Riposo Eterno, se mai ne
avesse bisogno. Io già lo considero vivente in Dio,
nella gloria eterna con Gesù Risorto. Voglia in cielo – e
lo farà – pregare per voi tutti e per me. Da Lui
molto mi aspetto”.
Era appena spirato, alle 3,00 di quel 5 aprile 1956 e già,
dopo alcune ore, mons. Sabino Cassatella, suo inseparabile
amico in santità, anch’egli sofferente, farà pervenire
questo bigliettino alla sorella Maria e ai familiari del Servo
di Dio mons. Dimiccoli. Ma non fu l’unico. Anche mons.
Michele Doria, da Andria, inviò il seguente telegramma: “Piango
con voi amico perduto, invoco mio protettore”. Già in
vita, don Raffaele era ritenuto santo. È a tutti nota
che san Pio da Pietrelcina era solito rivolgere l’obiezione
ai barlettani che si avvicendavano a san Giovanni Rotondo: “Perché venite
da me, se a Barletta avete un santo?”.
Il Servo di Dio don Ruggero Caputo, per la gratitudine e l’affetto
che portava verso il suo santo Direttore, da quando apprese
la notizia della morte di don Raffaele fino al giorno della
sua sepoltura, non prese cibo. Vani furono i tentativi della
sorella. “Lasciami piangere il mio Direttore – fu
la risposta –. Tu non potrai mai capire cos’è stato
lui per me!”. Non paia, allora, un’esagerazione
il contenuto della lettera scritta dall’arcivescovo mons.
Reginaldo Giuseppe Maria Addazi per il trigesimo della sua
morte, in cui addita il suo stretto collaboratore (in quanto
Vicario Generale per l’Arcidiocesi Nazarena di Barletta),
quale modello di santità per il clero delle tre Diocesi: “Venerabili
fratelli, Dio non cessa dal suscitare nella sua Chiesa i Santi,
perché, oltre all’azione diretta che essi esercitano
sulle anime, noi avessimo l’esempio vivo, immediato,
aderente alla nostra natura, di virtù cristiane esercitate
con eroica semplicità. Guardiamo a mons. Dimiccoli,
imitiamolo, seguiamone le orme e saremo degni Ministri di Dio.
E con serenità di spirito ci avvicineremo al nostro
ultimo giorno terreno, fidenti nella misericordia del Signore”.
Alcuni hanno definito “pastorale delle ricorrenze” l’abbondanza
di celebrazioni che evocano date e avvenimenti del passato,
che sembra vogliano nascondere una certa crisi di risposte
e proposte che la Chiesa è chiamata a dare oggi, in
questo contesto, all’uomo concreto e che, spesso, non
riesce. Al contrario, vediamo un grande segno di speranza il
ricordo dei nostri fratelli che ci hanno preceduto e che hanno
vissuto santamente in tempi certamente diversi dai nostri,
ma altrettanto difficili, e questo ci interroghi sulla qualità della
nostra vita alla luce del Vangelo.
Sac. Sabino Lattanzio |