Nell'anno
                  dell'Eucaristia: 
  Don Raffaele Dimiccoli 
  il mistico del Santissimo Sacramento  
                “Da quando, con la Pentecoste, il Popolo della Nuova
                  Alleanza ‘ha cominciato il suo cammino pellegrinante
                  verso la patria celeste, il Divin Sacramento ha continuato
                  a scandire le sue giornate, riempiendole di fiduciosa speranza’ (cfr
                  Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia/1). Proprio pensando a questo
                  ho voluto dedicare all’Eucaristia la prima Enciclica
                  del nuovo millennio e sono lieto ora di annunciare uno speciale
                  Anno dell’Eucaristia”. Così ha esordito
                  il Santo Padre Giovanni Paolo II durante la scorsa Solennità del
                  Corpus Domini, lasciandoci, come sempre, di sorpresa per le
                  sue imprevedibili intuizioni, anche se per tutti non è stata
                  una novità il sapere quanto egli ami l’Eucaristia.
                  Chi non è stato mai contagiato dal grande raccoglimento
                  che traspare dalle sue celebrazioni eucaristiche, nonostante
                  sia circondato da una moltitudine di fedeli? Quelle folle numerose
                  (e spesso rumorose!) non sono mai state per lui occasione di
                  distrazione, anzi più volte Giovanni Paolo II ci ha
                  ricordato che quella presenza diventa un richiamo a portare
                  le loro ansie, le attese e le preghiere. “Se tu conoscessi
                  il dono di Dio!” (Gv 4,10). Sì, è questione
                  di conoscenza; se non si conosce non si può apprezzare,
                  tanto meno amare. E i santi sono tutti “assetati” della
                  SS. Eucaristia; nessuno ne ha potuto fare a meno perché il
                  contatto con questa “Presenza” fa emergere continuamente
                  un sussulto di vita nuova.  
                  In questo contesto vogliamo fare memoria anche del Servo di
                  Dio don Angelo Raffaele Dimiccoli (1887-1956) a quarantanove
                  anni dalla morte; di questo sacerdote
  diocesano che si è speso per la promozione umana, sociale e spirituale
  dei poveri più poveri di un quartiere malfamato della periferia di Barletta,
  fondando nel 1924 il “Nuovo Oratorio, San Filippo Neri per la redenzione
  dell’infanzia abbandonata”. Non si contano il numero di coloro
  che lo riconoscono padre provvido perché da lui riscattati dalla miseria,
  dal dolore e dal degrado morale. Ma don Dimiccoli, da uomo di Dio qual’era,
  consacrò la sua esistenza soprattutto a “formare Cristo nelle
  anime”, e il segreto della sua incisività sui fedeli – dal
  più piccolo al più grande – vanno individuati proprio nella
  sua fede tersa e cristallina e nel suo amore incontenibile e contagiante verso
  la SS. Eucaristia. Di qui anche la gratitudine per essere stato chiamato al
  sacerdozio. L’Eucaristia e il Sacerdozio furono per lui un binomio inscindibile.
  Egli, infatti, era profondamente convinto di agire “in persona Christi”.
  Scriverà in una supplica accorata: “Infinito Amor mio, stamattina
  venendo in chiesa ti ho detto ai piedi del tuo Altare: Sempre Tuo !!! Tutto
  tuo!!! Da tutte le pene che sono circondato, che ti giungano come profumo,
  sostegno, affermazione del mio amore verso di Te. E ancora di più mi
  sento sussurrare al tuo orecchio di amarti sino a straziarmi per Te. Ti ringrazio,
  o Dolce Gesù, e ti benedico mille volte.” Il Servo di Dio inculcò nei
  fedeli un amore profondo verso i ministri dell’Altare, tanto che insegnò loro
  la seguente giaculatoria, a cui erano vivamente sollecitati a recitarla ogniqualvolta
  incontravano un sacerdote: “Signore, ti ringrazio per averci dato l’Eucaristia
  insieme al Sacerdozio Cattolico”. 
  Dalle testimonianze processuali che attestano la sua santità è unanime
  questa constatazione: “Ma la devozione più alta di don Raffaele
  era rivolta alla SS. Eucaristia. A tal proposito – continua una sua figlia
  spirituale – sul retro dell’altare, in corrispondenza alla Custodia,
  aveva fatto ricavare una piccola nicchia chiusa con la porticina, in cui conservava
  quelle preghiere scritte che gli stavano più a cuore, e, sempre sul
  retro dell’altare, passava lunghe ore assorto in adorazione”. Conferma
  Ruggiero Dicuonzo, all’epoca chierichetto della chiesetta del “Nuovo
  Oratorio S. Filippo Neri”, luogo privilegiato dell’azione pastorale
  e caritativa del Servo di Dio: “In quei lunghi momenti che trascorreva
  nel suo posto nascosto dietro l’altare maggiore, apriva il suo cuore
  e si inebriava di quella vicinanza. Noi ragazzi dell’Oratorio eravamo
  consapevoli di questo perché quando usciva da quel luogo lo vedevamo
  col volto ancora trasformato”. La Santa Messa costituiva il centro e
  il culmine della sua giornata. Prima e dopo la Celebrazione Eucaristica in
  sacrestia non poteva accedere nessuno perché don Raffaele si immergeva
  in profonda preghiera. Come celebrava il santo Sacrificio dell’altare? “Con
  grande e sentita devozione e senza fretta”, ricorda un suo giovane. Quali
  gli effetti di tale trasporto di fede e di amore sui fedeli che vi partecipavano?
  E’ divenuta ormai un “classico” della biografia del nostro
  Servo di Dio la testimonianza di chi per la prima volta si trovò di
  fronte a questo serafico sacerdote nell’atto di celebrare l’Eucaristia: “Posto
  il calice sull’altare e preparato il messale sul leggio, egli scese i
  gradini dell’altare per dare inizio all’Introito, secondo la liturgia
  e le rubriche del tempo. Segnatosi con il segno della croce, cominciò:
  Introibo ad altare Dei. Come pronunziò queste parole? Con quale animo,
  con quale fede, con quale devozione? Non saprei proprio dirlo. Ricordo solo
  che mi colpirono profondamente. Alzai gli occhi per guardarlo in viso. Mi sembrò trasfigurato.
  Abbassai gli occhi e stentai quasi a rispondere: Ad Deum qui laetificat juventutem
  meam. Inconsciamente capii che mi trovavo di fronte ad un sacerdote che faceva
  sul serio; ad un sacerdote che credeva davvero a quel che diceva; ad un sacerdote
  per il quale la S. Messa non era una pia abitudine mattutina, ma un atto di
  fede e di adorazione profonda”. Don Dimiccoli assimilò il mistero
  eucaristico che quotidianamente celebrava, adorava e condivideva, tanto che
  la sua vita, a somiglianza di Cristo, fu totalmente presa, spezzata, benedetta
  e data; per questo a ben ragione è da sempre considerato uno dei grandi
  mistici del Santissimo Sacramento dell’Altare. 
  La sua imponente mole tradiva la sua realtà costituita da una salute
  molto precaria; tuttavia supportato da una grande generosità “sino
  alla fine” (Gv 13,1), non riservò nulla per la sua persona, sottoponendosi
  a ritmi di lavoro impensabili. E a chi lo esortava a riguardarsi, con un sorriso
  angelico e bonario, rispondeva: “ In Paradiso ci sarà tutto il
  tempo per riposarci!”. Ricorda un suo confratello nel sacerdozio, don
  Ruggiero Cavaliere: “Il Servo di Dio per tutta la sua vita è stato
  sempre malato e non lo ha mai dimostrato: dietro quel gigante c’era un
  essere sofferente. Ma nonostante i suoi problemi di salute ha lavorato più di
  tutti gli altri sacerdoti”.  
  Consumato dal “tormento della sete delle anime” (dal suo testamento
  spirituale), il giovedì dell’ottava di Pasqua, 5 aprile, nelle
  prime ore del giorno, fu reso degno della contemplazione svelata del suo Signore
  glorioso. 
  Ancora una volta sia il Papa – il grande esperto nelle “cose” di
  Dio – a consegnarci quest’ultima esortazione: “Mettiamoci,
  miei carissimi fratelli e sorelle, alla scuola dei Santi, grandi interpreti
  della vera pietà eucaristica. In loro la teologia dell’Eucaristia
  acquista tutto lo splendore del vissuto, ci “contagia” e per così dire,
  ci “riscalda” [...] Di essi l’Eucaristia costituisce qui
  in terra il pegno e, in qualche modo, l’anticipazione: ‘Veni, Domine
  Jesu!’ (Ap 22,20) (Ecclesia de Eucharistia, 62)”.   |