Cristo, Paolo, i Servi di Dio 
                  don Dimiccoli e don Caputo… una catena di santità                 È noto a tutti che siamo nell’Anno Paolino. 
                    Ricorre infatti il secondo millennio
                    dalla nascita di Paolo di Tarso, avvenuta presumibilmente
                    verso l’8-9 d.C. Per tale occasione
                    papa Benedetto XVI ha esteso a tutta la Chiesa
                    l’invito a meditare sulla figura e gli insegnamenti
                    di questo grande apostolo, grazie al quale
                    il messaggio del Vangelo ha avuto un forte
                    slancio di diffusione.  
                    Qual è la grandezza di Paolo? Perché la sua
                    vita è così straordinaria e ancora contagiosa,
                    nonostante siano trascorsi tanti secoli dal suo
                    passaggio terreno? La risposta è semplice: si                    è innamorato di Cristo e ha donato la sua vita
                    a Lui. Il suo amore è stato così grande da diventare
                    instancabile araldo del Vangelo, pur
                    rimanendo, al contempo, contemplativo fino in
                    fondo di Lui. L’opera della Grazia ha trovato in
                    Paolo un terreno così favorevole tanto da renderlo
                    alter Christus: “non sono più io che vivo,
                    ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Egli ha saputo
                    coniugare l’impetuosità dello sforzo per l’annuncio
                    (viaggi, pericoli, arresti, naufragi, confronto
                    con nuove culture) alla pacatezza di chi
                    si ritiene sempre abbandonato alla volontà di
                    Dio, pur tra le difficoltà della vita (lunghi anni
                    di prigionia, sconfitte, tradimenti). Questi elementi
                    qualificano Paolo come modello di ogni
                    missionario. Ma anche modello di ogni contemplativo. 
              La ricchezza della sua vita ci permette di esplorare da molteplici angolature
              le svariate sfaccettature
              della vita cristiana. 
              Ed è proprio per questo che
              vogliamo affiancare i nostri Servi
              di Dio all’Apostolo delle genti,
              scoprendo così che anche per
              loro egli è stato modello ispiratore
              e maestro di saggezza. 
              Don Raffaele Dimiccoli, 
              come è noto, ha speso gran 
              parte della sua vita per portare 
              dignità umana e messaggio 
              evangelico in una zona povera 
              e periferica della Barletta del 
              suo tempo, acquistando quel
              piccolo mulino poi trasformato
              in oratorio. Quante difficoltà e
              quante incomprensioni ha dovuto
              sopportare! Quale sforzo
              e impegno ha dovuto profondere
              per questa causa! Come non
              leggere tale “ansia apostolica”
              con le parole dell’Apostolo: “mi
              sono fatto tutto a tutti, per salvare
              ad ogni costo qualcuno. 
              Tutto io faccio per il vangelo,
              per diventarne partecipe con
              loro” (1Cor 9,22-23)? 
              Sfogliando l’epistolario di
              don Dimiccoli pare risentire lo
              stesso linguaggio e il medesimo
              amore che Paolo portava
              per tutte le Chiese. Stralciamo
              da una sua lettera del 20 agosto
              1932, indirizzata alla sua
              prediletta suor Pia Raffaella
              Rizzi: “Chi lo crederebbe che in questo posticino della città, 
              remoto da ogni luce di civiltà 
              e progresso umano, debbano
              fremere tanti cuori in esplosioni
              di viva e santa Carità da trasportarci
              in atmosfere celesti!!! 
              Deo gratias et Mariae! 
              Si ha voglia a moltiplicare 
              le distanze con centinaia di
              chilometri, a moltiplicare mesi
              e mesi di lontananza, la Carità
              vola e raccoglie in un continuo
              atto meraviglioso di presenza
              e vive... vive, mia cara, allorché
              sul quadrante del nostro
              Oratorio suonano certe ore, il
              Signore mi procura delle gioie
              inesprimibili: mi sento di essere
              un padre felice di una sì
              grande famiglia che quantunque
              abbia parecchi membri
              sparsi pel mondo pure hanno
              un medesimo palpito: Gesù; un
              medesimo ideale: l’Apostolato;
              una medesima corda: l’Unum
              di Gesù nell’ultima Cena”. 
              Tutta l’esistenza di don
              Raffaele fu protesa ad imitare
              Cristo per essere, a sua volta,
              fermento di santità nel proprio
              ambiente: “Io sono lo specchio
              nel quale vi dovete ammirare!”,
              diceva spesso ai suoi fedeli. 
              Avrebbe potuto avere una vita
              tranquilla, arroccata nelle consuete
              faccende da sacrestia,
              senza avere contrasti e difficoltà
              di sorta; eppure sembra
              aver detto: “quello che poteva
              essere per me un guadagno,
              l’ho considerato una perdita
              a motivo di Cristo. Anzi, tutto
              ormai io reputo una perdita di
              fronte alla sublimità della conoscenza
              di Cristo Gesù, mio
              Signore, per il quale ho lasciato
              perdere tutte queste cose e
              le considero come spazzatura,
              al fine di guadagnare Cristo
              e di essere trovato in lui” (Fil
              3,7-9). 
              Don Ruggero Caputo, ha
              vissuto la sua vocazione nella
              formazione delle coscienze
              e nella preghiera incessante. 
              Anche lui ha fatto di tutto perché i suoi figli spirituali fossero
              santi e “pensassero alle cose
              di lassù” (cfr. Col 3,1). Ne dà
              conferma la testimonianza di
              padre Ruggiero Strignano: “In
              qualità di confessore e direttore
              di spirito fu molto ricercato. 
              Sempre disposto nell’ascoltare. 
              Quando seguiva un’anima la
              considerava più che figlia. Nella
              sua direzione sembrava di
              risentire la passione apostolica
              dell’apostolo Paolo allorquando
              diceva: ‘Figlioli miei, che di
              nuovo vi partorisco nel dolore
              finché non sia formato Cristo in
              voi!’ (Gal 4,19)”. 
              L’epistolario di don Ruggero              è ricco di Sacra Scrittura - anticipando
              in questo una sensibilità
              tipicamente moderna. 
              Ebbene, non è un caso notare
              come gli scritti paolini siano
              tra i più citati. Fece sue molte
              espressioni dell’Apostolo:
              si considerino, ad esempio, i
              termini con i quali si rivolgeva
              alle sue figlie spirituali: “mia
              gloria”, “mia corona” (Fil 4,1). 
              Tutto ciò testimonia che don
              Ruggero amava tanto san Paolo
              e ne conosceva capillarmente
              i testi. 
              E che dire del modo in cui
              visse le sofferenze della vita? 
              Non solo le contrarietà sopportate
              durante il ministero, ma
              anche quella ultima, gravissima, riguardante la sua salute? 
              In tutto questo è rimasto, alla
              stregua di Paolo, pieno di speranza:              “noi ci vantiamo nelle
              tribolazioni, ben sapendo che
              la tribolazione produce pazienza,
              la pazienza una virtù provata
              e la virtù provata la speranza”
              (Rm 5,3-4). 
              Don Ruggero non subì il
              dolore ma lo visse con spirito
              oblativo in unione alla Passione
              di Cristo. Una sua figlia spirituale
              recatasi in ospedale pochi
              giorni prima che egli morisse,
              raccolse la seguente altissima
              testimonianza di fede: “Ora
              devo compiere la mia parte,
              come dice san Paolo: ‘Completo
              nella mia carne quello che
              manca ai patimenti di Cristo, a
              favore del suo corpo che è la
              Chiesa’”. 
              La santità, si sa, è contagiosa. 
              Un santo può essere
              modello per altri cristiani
              perché tutti si avvicinino alla
              Santità per eccellenza, che risplende
              sul volto di Cristo. Don
              Raffaele e don Ruggero hanno
              imitato Paolo, come Paolo
              ha imitato a sua volta Cristo
              stesso (cfr. 1Cor 11,1). E hanno
              perciò raggiunto l’obiettivo
              della loro vocazione cristiana
              e sacerdotale, “combattendo
              la buona battaglia” e meritando
              la “corona di giustizia” (cfr.
              2Tm 4,7-8). 
              Ringraziamo, dunque, il
              Signore per il dono di queste
              figure! Non mettiamole in bacheca,
              quasi fossero medaglie
              di vittorie passate di cui vantarci! 
              La storia non va rimpianta
              ma, al contrario, deve
              far crescere il nostro senso di
              responsabilità. A noi, quindi,
              oggi, non resta che continuare
              questa catena della santità:
              abbeveriamoci dell’esempio di
              questi nostri maestri e risaliamo
              con loro verso Cristo, per
              diventare noi stessi diffusori di
              santità per altri nostri fratelli. 
              Ruggiero Lattanzio  |