25 luglio 2007 
                    Chiusura della fase diocesana 
                della Causa di Canonizzazione 
                di don Ruggero Caputo
                “Magister, volumus
                    ut quodcumque petierimus a te facias nobis” (Mc 10, 35), “Maestro, noi vogliamo
                  che tu ci faccia quello che ti chiediamo”: figli di Zebedeo
                  sono ancora tra noi. Continuiamo a voler insegnare a Dio come
                  debba fare il suo lavoro divino. Non abbiamo imparato da chi
                  ha detto: “… sed non quod ego volo, sed quod tu” (Mc
                  14,36), “Non quello che voglio, ma quello che vuoi tu”.
                  E qual è la volontà del Padre? 
“Estose ergo vos perfecti, sicut Pater vester caelestis perfectus
                est” (Mt 5, 48), “Siate dunque perfetti come è perfetto
                il Padre vostro celeste”. 
                Il testo greco adopera il termine éseste; direbbero gli
                esegeti: medio indicativo futuro, da considerare come un imperativo
                categorico, un’esortazione impellente, un dovere da adempiere.
                Un appello da prendere decisamente sul serio. 
“
                Signore, fa’ che io comprenda e ami e scelga e viva con
                la Tua grazia ciò che è essenziale”. L’esempio
                dei Santi possa incoraggiarmi. 
                Caro don Ruggero, umile prete della mia giovinezza, padre spirituale
                e guida dei miei primi passi nella sequela Christi, ispiratore
                della mia vocazione al sacerdozio e di tante sorelle per la vita
                di speciale consacrazione, servo della volontà di Dio,
                innamorato della croce di Cristo che hai accettato per amore
                della Chiesa, alla quale ti sei donato pretendendo l’ultimo
                posto… continua a suggerire, come hai tante volte fatto
                nel tuo ministero su questa terra, la via per la santità. 
                Quante volte ce lo hai proposto nelle confessioni, nella direzione
                spirituale e nella predicazione. Ce lo ripetevi sempre anche
                quando, litigando con il microfono dei primi rudimentali sistemi
                di amplificazione, le parole si accavallavano e dovevamo prestare
                un’attenzione maggiore. Amavi ripetercelo spesso in un
                gradevole dialetto che ti rendeva così vicino alle anime
                e ti permetteva di esemplificare, di essere concreto e convincente.
                Preferivi uno stile dimesso, rispettoso e sapevi ascoltare: non
                eri sbrigativo e frettoloso. Solo le tue ginocchia conoscevano
                il tuo segreto: davanti a Gesù Sacramentato e per tanto
                tempo. Avrai confidato solo all’Amore della tua vita le
                tue sofferenze, di un viceparroco a vita. Quando si inventavano
                le parrocchie per vere o presunte esigenze spirituali e per un
                molto concreto supplemento di congrua, tu hai continuato ad essere
                sempre nel posto che il Signore ti ha assegnato: nel ministero
                della confessione e in ginocchio davanti al SS.mo Sacramento.
                Non ti ho mai sentito proferire un cenno di protesta o una pur
                comprensibile rivendicazione. 
                Hai solo desiderato dimostrare con la tua vita: “Gustate
                et videte quoniam suavis est Dominus” (Sal 34 (33), 9), “Gustate
                e vedete com’è buono il Signore”. Ci hai voluto
                insegnare a conoscere, amare, servire, imitare Gesù. 
“Nihil volitum quin praecognitum”, “Non si può volere
                ciò che non si conosce e non si ama”. 
                Grazie, don Ruggero. 
                E invoco la misericordia di Dio perchè sia riconosciuto
                in terra che sei in Paradiso. Tu lo avevi tanto desiderato. 
                Prego perché il Signore permetta la tua canonizzazione
                e incoraggi ognuno di noi ad essere immagine viva del suo amore. 
                Cari
                  fratelli e sorelle, 
                  che, leggendo, siete arrivati fin qui; comprenderete l’affetto
                  umano e la gratitudine sincera e la santa ambizione di dire: “Cur
                  et non ego?”, e perché io no? Anche noi dobbiamo
                  tendere alla santità nella normalità. Per noi Materia
                  Sanctitatis è la vita quotidiana. 
                  Questo insegnava don Ruggero: cercare la santità nei doveri
                  di ogni giorno, ma coltivando una vita di orazione. Ci ha insegnato
                  a fare la meditazione, quotidianamente, con assidua fedeltà,
                  ma non nell’anonimato bensì rivolgendoci a Gesù in
                  un dialogo d’amore, a tu per tu, più spesso tacendo
                  noi per ascoltare Lui che tacitando Lui perché ascolti
                  il nostro vuoto chiacchierio. Ci ha chiesto di andare a Messa,
                  ogni giorno, e di fare sempre la Comunione. Qualche volta ci
                  ammetteva alla Comunione Eucaristica al di fuori della Messa
                  perché non perdessimo questo dono: ricevere Gesù nel
                  Santissimo Sacramento. Amava celebrare ogni sera la Funzione,
                  cioè la visita a Gesù Sacramentato e la Benedizione
                  Eucaristica in forma semplice. Per il vero, fu poi permessa la
                  celebrazione serale della S. Messa, ma a don Ruggero in un primo
                  momento, non fu consentito. 
                  La strada della santità è lastricata da tante piccole
                  e grandi mortificazioni. Desiderava che recitassimo il S. Rosario.
                  Ci insegnò tante giaculatorie: sono quei messaggi brevissimi
                  spirituali, magari per pochi minuti, e a sera, sempre, l’esame
                  di coscienza. E la cura degli ammalati e l’amore per la
                  Liturgia, la cura dei bambini e dei ragazzi, soprattutto dei
                  chierichetti… 
                  Era di Cristo un’immagine viva: un Alter Christus. Ma questo
                  accade quando si vive in una profonda unione con Lui: “Qui
                  manet in me, et ego in eo, hic fert fructum multum”(Gv
                  15, 5), “Chi rimane in me, ed io in lui, fa molto frutto”.
                  Non bisogna dimenticare mai, e questa è la grande lezione
                  spirituale dell’umile don Ruggero: “Manete
                  in me” (Gv
                  15, 4), “Rimanete in me”. La vita interiore è l’anima
                  di ogni apostolato. 
                  Quanto più grande e profonda sarà la nostra intimità con
                  Gesù, tanto più abbondante il frutto spirituale
                  del nostro apostolato. Attenzione: frutto, non successo. Questa è un’altra
                  cosa. Ma può molto più un uomo di vita interiore
                  abitata dall’amore di Dio, che il nostro saper fare,
                  la simpatia che suscitiamo, le capacità organizzative,
                  i mezzi materiali… 
                
                  
                    Quindi, nel celebrare il 
                      70° anniversario 
  dell’Ordinazione Sacerdotale 
                        del Servo di Dio 
                        DON RUGGERO CAPUTO 
                        avvenuta il 25 luglio 1937 nella 
                        Basilica Concattedrale 
                        di S. Maria Maggiore di Barletta, 
                        per le mani di Mons. Giuseppe Maria Leo 
                        alle ore 20.00 del 25 luglio 2007 p. v., 
                        nella stessa Basilica, 
                        nella Celebrazione Solenne dei Vespri 
                        dell’Apostolo Giacomo il Maggiore 
                        presieduta da Mons. Giovan Battista Pichierri 
                        nostro Arcivescovo, 
                        si darà conclusione alla fase diocesana 
                        della Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo
                    di Dio.  | 
                     
                          26 luglio 1937: Don Ruggero Caputo nel giorno della Prima
                          Messa Solenne, circondato dai genitori e da Emanuella,
                    sorella maggiore   | 
                   
                                  
                  A tutti voi, confratelli nel sacerdozio, 
                  il mio saluto affettuoso e la richiesta dell’elemosina
                  di una preghiera. E il dono di un reciproco incoraggiamento ad
                  essere nella Chiesa testimoni di Gesù e annunciatori di
                  quella speranza cristiana che è Virtù Teologale,
                  quindi infusa da Dio nell’anima, ma è anche dote
                  personale, frutto di maturità umana e di sano ottimismo.
                  Pieni di zelo apostolico. Capaci di amare senza misura: Dio e
                  gli altri. Guai se un sacerdote è tiepido. Ha detto un
                  confratello: “Un sacerdote tiepido è il peggior
                  nemico delle anime”. Ma non bisogna nemmeno essere angosciati
                  dal troppo da fare. Don Ruggero ha insegnato e testimoniato con
                  la sua vita. A Gesù dobbiamo portare le anime. Ma “la
                  nostra testimonianza sarebbe, tuttavia, insopportabilmente povera,
                  se noi per primi non fossimo contemplatori del Suo volto” (NMI,
                  16), se noi non fossimo testimoni di Gesù. Non siamo forse
                  Alter Christus o, addirittura, Ipse Christus? Lui deve essere
                  vivo e presente in noi.  
                  Noi siamo presenza di Cristo, Cristo stesso. Come Lui è immagine
                  del Padre, noi siamo Sua immagine. Dobbiamo parlare con la Sua
                  bocca, guardare con i Suoi occhi, benedire con le Sue mani, amare
                  con il Suo cuore… Essere consapevoli che il bene soprannaturale
                  di un’anima vale di più di tutto il bene naturale
                  dell’universo. Ho letto da S. Tommaso: “Bonum
                  unius gratia maius est quam bonum naturae totius Universi”, “Il
                  bene di uno è grazia maggiore del bene di natura di tutto
                  l’Universo”. Possiamo solo se frequentiamo abitualmente
                  Gesù: “Ego sum vitis vera et Pater meus agricola
                  est” (Gv 15,1), “Io sono la vera vite e il Padre
                  mio è il vignaiolo” che deve potare. Ed è giusto
                  che lo faccia perché si porti più frutto. Accettiamo
                  la purificazione della nostra persona, di tutto il nostro essere.
                  Come i Santi ci hanno insegnato, è bene accettare la
                  grazia della potatura. 
                  Come don Ruggero, amiamo sempre la Chiesa, e il presbiterio,
                  e il popolo di Dio… Mostriamo docilità verso i superiori
                  in un’obbedienza sincera e leale… Liberi da ogni
                  esteriorità… Pronti a servire, dall’ultimo
                  posto, il nostro preferito. 
                  Non dimentichiamo Gesù che nell’Ultima Cena lava
                  i piedi dei suoi discepoli. é un gesto che modella tutta
                  la nostra vita. Non spiega prima ciò che doveva fare;
                  ma è tipico di Gesù: prima agisce, poi spiega.
                  Devono parlare i fatti. Dobbiamo testimoniare con la vita. E
                  lava i piedi anche a Giuda, nonostante… E poi spiega: “Exemplum
                  enim dedi vobis…” (Gv 13,15), “Vi ho dato infatti
                  l’esempio perché facciate anche voi quello che ho
                  fatto io”. 
                  Devo ricordare le parole di Gesù che nello stesso contesto, “con
                  il cuore in mano”, secondo una nostra espressione popolare,
                  aggiungerà:‘“Da questo momento tutti sapranno
                  che siete i miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv
                  13,35). 
                  Ecco ciò che il Signore ci chiede: “Fare della
                  Chiesa la casa e la scuola della comunione” (NMI n. 43). 
                8
                  dicembre 2006 
                  Solennità dell’Immacolata Concezione 
                   
                  Mons. Giuseppe Paolillo 
                  vicario episcopale  |