Don
Raffaele e la centralità del bambino nella novità del
regno di Dio
Che
il Cristianesimo abbia costituito un messaggio di sconvolgente
novità, è un dato che può essere affrontato
secondo diverse prospettive. Certamente dovette suonare alquanto
strano alle orecchie dei primi Cristiani – e più ancora
alle orecchie dei primi oppositori – il seguente detto
di Gesù: “Chi non accoglie il regno di Dio
come un fanciullo certamente non vi entrerà” (Mc 10,43).
E poiché si tratta di una conditio sine qua non (una
condizione indispensabile, o così o niente) per partecipare
alla salvezza, conviene spendere qualche riflessione sulla
figura e il ruolo del bambino all’interno del messaggio
di Gesù di Nazaret.
Il ruolo del bambino nella cultura biblica e nel mondo antico
“Corrisponde sostanzialmente al vero l’affermazione diffusa
che il bambino, a differenza di quanto accade nella nostra cultura
occidentale contemporanea, non era nel mondo biblico, al centro
delle attenzioni e delle cure degli adulti. Si potrebbe dire
che, un po’ come avveniva nei nostri vecchi ambienti contadini,
i bambini erano amati, cresciuti ed educati come si conviene,
ma, nel contempo, erano trattati con una certa noncuranza e distacco.
La vita impegnativa è quella degli adulti e dai bambini
si attende che lo diventino”.1
Un pensiero piuttosto condiviso nel mondo antico, se pensiamo
ad esempio a quello che accadeva ad un ragazzino, vissuto pochi
decenni dopo Gesù, al seguito delle truppe romane che
conquistavano il mondo. Egli deriso e disprezzato dai suoi commilitoni
per la giovane età, fu soprannominato “Caligola” (potremmo
tradurlo “Ciabattone”) perché le
calzature che indossava sembravano delle “pinne” ai
suoi piccoli piedi: con l’esito che quando quel bimbo crebbe,
diventò un imperatore crudele e spietato, tanto da condannare
a morte senza pietà quegli stessi commilitoni.
Stessa cosa a Sparta (in Grecia), dove i fanciulli nati con delle
gravi malformazioni, erano uccisi perché inabili a difendere
una patria che aveva nella guerra e nella prestanza fisica dei
suoi soldati la propria carta di identità.
Alcune significative eccezioni
Ciononostante è possibile individuare sia nella cultura
greco-romana che nel panorama biblico, significative eccezioni
che fanno da retroterra alla “rivoluzione di pensiero” inaugurata
da Gesù col suo detto riportato in Mc 10,43. L’amore
della mamma di Mosè (Es 2,2), la pietà di Agar
nei confronti del proprio figlio Ismaele, destinato a morire
di sete a causa dell’odio di Sarai (Gen 21,16), il digiuno
di Davide finalizzato alla salvezza di quel bambino innocente
nato da un’unione peccaminosa con Betsabea, sono solo esempi
di una rivalutazione della figura del bambino, fissata nel libro
dei Proverbi, tramite il quale la Scrittura invita ad educare
i bambini (Pr 22,15).
La novità del messaggio di Cristo
Ma è nella pienezza dei tempi che il Cristo nato da donna,
nato sotto la legge (Gal 4,4) assumendo la natura di servo,
divenendo simile agli uomini (Fil 2,7), nacque bambino, fu
avvolto in panni
e deposto in una mangiatoia (Lc 2,7), sconvolgendo le attese
di Israele che aspettava un messia nei panni di un condottiero
forte e valoroso e si trovò davanti una creatura indifesa
che pur essendo di natura divina non considerò un tesoro
geloso la sua uguaglianza con Dio (Fil 2,6). E l’insegnamento
di Gesù fu conseguenza delle sue scelte. Mentre i discepoli
infatti ritenevano che fosse conveniente per accedere a Gesù solo
la condizione personale dell’adulto, Egli capovolge la
posizione, richiamando gli adulti alla necessità di ridiventare
come bambini. E in questo insegnamento è chiara l’idea
di una necessaria conversione, esplicitata dalle parole “Chi
non accoglierà il regno di Dio come un bambino non vi
entrerà” (Mc 10,15). Il bambino diviene modello
di disponibilità a lasciarsi educare e orientare per diventare
ciò che ancora non è. Si potrebbe continuare lungamente
ma il nucleo del messaggio è questo.
Don Raffaele nel contesto del regno di Dio modellato sui piccoli
Chi presumesse di valutare l’attività del Servo
di Dio don Raffaele Dimiccoli, dimenticando o tralasciando le
righe precedenti, rischierebbe di depauperare o limitare fortemente
l’attività del “Direttore” a semplice
attività sociologica, meritoria senza dubbio, ma fortemente
incompleta.
Don Raffaele aveva certamente compreso la novità del messaggio
di Cristo, così profondamente, da tradurre in forme di
assistenza, la concretezza esigente di quel messaggio. L’Oratorio
San Filippo Neri, altro non fu, che la risposta del Servo di
Dio, all’invito riportato in Mc 10,13. Una risposta fatta
di donazione totale e di fatiche innumerevoli. E così pietra
su pietra, sacrificio dopo sacrificio, mentre le generazioni
di ragazzi si davano il cambio, don Raffaele si andava convincendo
che il Regno di Dio andava accolto e coltivato come quei ragazzi,
che entravano privi di qualsiasi identità cristiana, e
ne uscivano con una chiara fisionomia.
Un esempio per chiarire
Riporta in una testimonianza un suo discepolo, Giuseppe Di
Matteo:
“
Il nuovo Direttore della Dottrina Cristiana in San Giacomo, ad
imitazione del suo Maestro Divino, ardeva di un amore immenso
per i piccoli. Noi con l’intuito tutto proprio dell’innocenza
ci accorgemmo subito di questa predilezione di don Raffaele,
e con sommo contento e gioia l’avvicinamo numerosi, lo
circondavamo, gli ci stringevamo alle ginocchia per ricevere
un sorriso, una carezza, per aprirgli con schiettezza e semplicità il
nostro piccolo cuore. E don Raffaele si faceva piccolo con noi
piccoli, ci ascoltava con l’interesse e l’attenzione
con cui si ascoltano i grandi personaggi, sorrideva, scherzava,
si guadagnava così la nostra più aperta confidenza
e con questa aveva un mezzo più facile e potente per plasmarci
nell’esercizio della virtù”.
Il Servo di Dio era profondamente convinto che ogni piccolo
era da prendere in
seria considerazione:
“
A tutti dava importanza – afferma Concetta Dellisanti. Ricordo un giorno
dovetti aspettare tanto tempo perché stava ascoltando una ragazzina. Terminato
il colloquio io spontaneamente gli dissi: ‘Come mai tanto tempo per una
bimbetta?’. Meravigliato don Raffaele mi rispose: ‘Una bimbetta?
Quella è un anima e io sacerdote ho il dovere di dare a quell’anima’”.
Concludendo
Anche per il Servo di Dio, le parole facevano seguito alle
convinzioni del cuore, e col passare del tempo lo si sentiva
raccomandare spesso ai suoi
ragazzi di
conservare anche da adulti quella disponibilità ed apertura che ne caratterizzava
il comportamento all’Oratorio. Una testimone racconta di un’esclamazione
che il Direttore ebbe a dire con gli occhi lucidi che trasparivano ancora innocenza,
vedendo correre e giocare allegramente i suoi ragazzi: “Come vorrei
che non cresceste!”. La donna racconta che lì per lì non ne comprese
il senso, anzi rimanesse perplessa di fronte a un tale desiderio del Direttore...
Alla luce delle riflessioni fatte in precedenza, e avendo ormai imparato a conoscere
il modo evangelico che caratterizzava il ragionare del Servo di Dio, ci permettiamo
di tradurre l’esclamazione precedente con una che forse si distanzia dalle
parole usate da don Raffaele, ma sicuramente presume di essere più conforme
al suo pensiero. Ritorniamo allora indietro nel tempo: ricostruiamo la scena.
Immaginiamo di essere presenti nell’Oratorio di san Filippo Neri al tramonto
di una calda giornata d’estate; immaginiamo questo gruppo di ragazzini
trafelati, rossi, contenti, al termine di un pomeriggio di giochi, pronti a raccogliersi
in ginocchio intorno al Direttore per la preghiera della sera... E immaginiamo
lui, don Raffaele, che se li vede arrivare tutti intorno, chiassosi ma rispettosi,
gioiosi ma corretti, allegri ma pronti a concentrarsi nella preghiera, e gonfio
di commozione guardandoli uno per uno, ecco che effonde il suo cuore ed esclama: “Che
bello sarebbe se crescendo manteneste illibata la vostra innocenza!”. Il
nostro cuore stenta a disgiungere la scena di cui quella donna ci ha raccontato,
dall’episodio del Vangelo in cui Gesù accarezzando i bambini che
lo circondavano “li prendeva in braccio e li benediceva” (Mc 10,16).
Carlo Adesso